Quando riceviamo un attacco energico, possiamo essere sopraffatti dall’istinto e dalla paura, che ci fanno muovere in una maniera tutt’altro che ideale. Uno degli indizi comuni che indica la perdita della centratura è la “ricerca” dell’intercettazione dell’attacco con il proprio braccio difensore. Se consideriamo ad esempio uno yokomen [percossa alla tempia, solitamente portata con un fendente, N.d.R.], spesso il nostro braccio sarà orientato con un angolo errato, che impedirà di ottenere un’area di contatto sufficientemente ampia, esponendo le costole ed addirittura rischiando di indirizzare l’attacco proprio contro di queste. Sebbene ciò sia chiaramente sbagliato dal punto di vista tecnico, ci aiuta poco per correggere l’errore finché diventa parte della nostra filosofia marziale.
(Traduzione ed adattamento di "Your Tegatana, Your Shield" di Gregor Erdmann)
Quando riceviamo un attacco energico, possiamo essere sopraffatti dall’istinto e dalla paura, che ci fanno muovere in una maniera tutt’altro che ideale. Uno degli indizi comuni che indica la perdita della centratura è la “ricerca” dell’intercettazione dell’attacco con il proprio braccio difensore. Se consideriamo ad esempio uno yokomen [percossa alla tempia, solitamente portata con un fendente, N.d.R.], spesso il nostro braccio sarà orientato con un angolo errato, che impedirà di ottenere un’area di contatto sufficientemente ampia, esponendo le costole ed addirittura rischiando di indirizzare l’attacco proprio contro di queste. Sebbene ciò sia chiaramente sbagliato dal punto di vista tecnico, ci aiuta poco per correggere l’errore finché diventa parte della nostra filosofia marziale.
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(Traduzione ed adattamento di “Kata Training and Aikido” di Diane Skoss) Chi non pratica Aikido è spesso confuso quando io parlo dei kata nella pratica dell’Aikido – “Intendi come quelli che si studiano nel karate?”. Perfino molti aikidoka conoscono i kata solo come un termine che si riferisce a delle sequenze di movimenti predeterminati, al contrario delle applicazioni, oppure li identifica nella serie di esercizi con le armi codificati da Saito Morihiro sensei. Ueshiba Morihei apparentemente non approvava il metodo di addestramento dei kata, ritenendo che la “statica” predeterminazione di tecniche interferisse con la diretta e spontanea trasmissione delle tecniche da parte delle divinità. Così, nella maggior parte degli stili di Aikido, il kata come sequenza di tecniche predeterminate non è utilizzato come metodo di addestramento principale. Kenji Tomiki, così come il suo maestro Jigoro Kano prima di lui, riteneva che il kata fosse un utile strumento didattico e lo incorporò nel suo sistema. Oggi, la maggior parte dei praticanti della Scuola Tomiki potrebbero dirvi che il kata è un insieme di tecniche praticate on un partner per l’insegnamento dei principi di base dei vari aspetti del Tomiki Aikido. Nota: Questo scritto – a metà tra il ricordo nostalgico, il pippone filosofico e il saggio etnoantropologico - nasce come risposta ad uno stimato insegnante che sulla sua bacheca facebook scriveva in maniera più o meno ironica del “nikyo sayonara”. Io sono il primo a ridere e scherzare sul tatami e sono l’ultimo che può ammannire insegnamenti ad altri, specie a chi pratica sul tatami da ben più tempo di me. Quindi quanto segue deve essere letto solo come una testimonianza personale ed un modesto tentativo di illustrare un aspetto affatto singolare della pratica marziale. Intervengo rarissimamemte in queste discussioni, non perché non siano interessanti ma perché – ahimè – il tempo che posso dedicargli è assai ridotto. Ciascuno è ovviamente libero di considerare infantili sadomasochisti quattro adulti che si torcono i polsi e versano e si fanno versare della birra in gola. Pratico il tatami da un numero di anni sufficiente per essermi sentito affibbiare le etichette più diverse, e se ancora non mi hanno sottoposto ad un TSO è forse più per fortuna che per altro. Ho un fratello che va in barca a vela in pieno inverno ed un padre che a quasi ottanta anni va a zappare in campagna; evidentemente in famiglia ognuno ha le perversioni autolesioniste che si merita. Ciò premesso, mi permetto di dissentire sul considerare la pratica del nikyo sayonara come un mero “scimmiottamento” di quanto faceva Saito Morihiro sensei ad Iwama (e non perché – sia chiaro – non sia consapevole di quanti “imitatori” dei Maestri passati ci siano sui tatami di questo mondo). (Traduzione ed adattamento di “Kuzushi? What is That and Why Do I Care?” di Harold Zeidman) “Adesso ti insegnerò il segreto i tutte le arti marziali” mi disse un giorno il mio sensei. Io fui molto sollevato da questa notizia; mi ero impegnato nell’addestramento per tre volte alla settimana nelle ultime sei settimane e praticando le mie cadute infine ero giunto ad imparare “la roba seria”. Il mio sensei allora mi insegnò lo happo no kuzushi (le otto direzioni dello squilibrio) e con aria seria mi spiegò che “qualsiasi attacco proviene da una di queste otto direzioni” e che sarebbe stata la mia capacità nel ricevere l’attacco da qualsiasi direzione di provenienza a determinare la mia abilità nella pratica delle arti marziali. Harrison E. J., “Lo spirito guerriero del Giappone. L'esoterismo delle arti marziali giapponesi”3/25/2014 Lo spirito guerriero del Giappone. L'esoterismo delle arti marziali giapponesi * Autore: Harrison E. J. * Traduttore: Pensante A. * Editore: Luni (ordinabile presso la Firenzelibri s.r.l. - 0558635744 – email: [email protected]) * Data di Pubblicazione: 2003 * Collana: Le vie dell'armonia. Quaderni tecnici * ISBN: 8874350325 * ISBN-13: 9788874350322 * Pagine: 215 L’autore. grande appassionato di pugilato e di catch, giunse in Giappone nel 1897 come giovane giornalista in un ufficio di corrispondenza che gli lasciava un sacco di tempo libero. Il Giappone aveva appena aperto le sue frontiere agli stranieri ed Harrison ebbe l'incredibile chance di immergersi direttamente in una società ed in usanze uguali da secoli e - seguendo le sue passioni – di incominciare la pratica del judo in dojo tradizionali, mescolato agli altri praticanti giapponesi e trattato come uno di loro, nei primi tempi davanti a un pubblico popolare che non lesinava il suo "tifo" e che apprezzava il "gioco duro". Ma Harrison, curioso com'era di esplorare tutti i presupposti più reconditi e la teoria del bujutsu, ebbe l'opportunità di conoscere altri grandi Maestri, che gli trasmisero conoscenze, segreti, storie, che egli raccoglie in questo libro, che è perciò una fonte preziosa di informazioni. Fa parte della natura umana partire dal presupposto che la propria opinione sia esatta e, anche conoscendo in modo superficiale le questioni altrui, voler dettare cosa è giusto e cosa è sbagliato. Questo è un comportamento ingenuo. E già abbastanza difficile trovare la verità in se stessi. Tutte ciò che va al di là di questo necessita di un esercizio intenso ed è assolutamente impossibile senza un previo stato avanzato di maturità. Lo spirito concentrato in una specializzazione perde di vista i nessi più grandi. Siccome però la tecnica moderna apprezza molto di più lo specialista concentrato su un ambito sconosciuto rispetto all'uomo che è maturato nella vita, la persona inadeguata ma altamente specializzata viene ad essere sempre più spacciata per modello da seguire. Tuttavia ovunque questa persona venga ad operare al di fuori del proprio ambito sorgono degli equivoci. (Traduzione e adattamento di “Receiving Corrections” di Pauliina Lievonen) Sto ancora rimuginando su questo aspetto dell’etichetta, e sul perché sia così difficile accettare le correzioni. Qualcuno ha chiesto se ciò accade perché la gente non si preoccupa di impartire le correzioni in modo aspro, ed io ho risposto che avrei esaminato questa possibilità. Tornando indietro con la memoria a quando ho cominciato la pratica dell’Aikido, ricordo che ero terribile. Odiavo essere corretta su qualsiasi cosa; forse non lo mostravo molto spesso, anche perché sono una ragazza carina e cortese. Mi risentivo, e non solo in Aikido, ma anche nei miei studi musicali, per esempio quando provavo in compagnia di altri studenti. Per molto tempo, se qualcuno criticava il mio modo di suonare, io sentivo di over ricambiare pan per focaccia e di restituire le stesse critiche in qualche successiva sessione di prove. Tutta aggressività molto passiva e indiretta... e se il mio insegnante criticava qualcosa in una lezione, io mi deprimevo e lo ritenevo ingiusto e abbietto. (Traduzione ed adattamento di ”20 things that any Aikidoka can do to enjoy their Aikido more” di Autrelle Holland) Questa è la mia prima lista, in cui includo un po’ di cose che ognuno, indipendentemente dalla sua esperienza (ma soprattutto se è un principiante), potrà trovare utili per godere maggiormente della sua pratica dell’Aikido. 1) Praticate avendo cura di voi stessi. Anche O’Sensei Ueshiba diceva che un istruttore può insegnare solo una piccola parte dell’Aikido; il resto va imparato da ciascuno auto-osservandosi e correggendosi durante la sua pratica. 2) Leggete libri. Non solo sull’Aikido, ma relativi anche ad altre arti marziali. E se potete, non limitatevi alle Arti marziali, ci sono un sacco di libri con argomenti tra i più disparati, che possono aiutarvi nella vostra pratica dell’Aikido. (Traduzione ed adattamento di “The Truth About The Hakama Revealed! Or: Stability Is Everything!” di Nev Sagiba) Nev Sagiba, l’autore di questo articolo, è uno dei più originali collaboratori di Aikido Journal. Ogni suo articolo si distingue per esporre tesi al limite del paradossale e sicuramente le sue opinioni non sono mai banali o scontate. Come tutte le opinioni, anche quelle di Nev Sagiba sono opinabili e non rappresentano certo la “verità rivelata", ma proprio per questo è interessante conoscerle e accettare lo stimolo a mettersi in discussione e ad osservare le nostre convinzioni da un nuovo ed originale punto di vista (NdR). L’hakama non è una icona religiosa! L’hakama non ha nulla a che fare con il grado Dan! L’hakama non è una gonna! L’hakama può essere con stoffe di ogni colore, unico o con combinazioni diverse e tanto altro... |
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